Procede a sghimbescio, s’insinua nelle intercapedini tra le case, insegue rii dimenticati. È la “Promenade verte”
di Bruxelles, una sorta di cintura da percorrere a piedi o in bicicletta che si snoda per una settantina di chilometri,
presentando forse l’immagine più autentica della città nella sua dimensione eccentrica, in cui all’ambiente urbano
si alterna e si sovrappone un paesaggio rurale che sembra uscito da una fotografia di altri tempi.
Dinanzi agli occhi del viandante si apre una visione periferica, speculare a quella consueta - tradizionalmente
scaturita da un itinerario che parte dal centro allargandosi a raggiera - in un percorso, inizialmente difficile
da individuare, nelle retrovie della capitale europea. A costellarlo casette che sembrano uscite da una fiaba dei
fratelli Grimm, cimiteri con accanto provvidenziali fabbriche di lapidi, binari corrispondenti a rami secchi o,
più spesso, a linee ferroviarie ancora in uso, stagni, giardini e orticelli.
La via segue molto spesso il corso di ruscelli e canaletti dove un tempo si andavano a lavare i panni o più
prosaicamente si sversavano rifiuti di varia natura. Se ne ritrovano le tracce nei nomi che assumono via via
i viottoli e che fanno riferimento ai vecchi mestieri di altri tempi, come il sentiero delle lavandaie, dei tintori o dei mugnai.
La passeggiata, che nel 2010 si è aggiudicata il Premio europeo per l’urbanismo, si considera convenzionalmente articolata
in 7 tronconi - molto diversi tra loro - e riserva continue sorprese. L’ampia porzione di percorso che, partendo da Woluwé
Saint-Lambert, lambisce la città sul versante meridionale e sud-orientale fino a Uccle, è una delle più verdeggianti. Si
bizzarrisce inseguendo un rio e poi si addentra in parchi e giardini che si succedono senza soluzione di continuità.
Tra riserve naturali, orti botanici, faggeti e prati si giunge a un certo punto al bosco vero e proprio (Forêt de Soignes).
Lungo il tracciato si costeggiano mulini a vento e antichi manieri e, con un po’ di fortuna, oltre a uccelli e palmipedi di
ogni sorta, s’incrociano anche scoiattoli e volpi. Il paesaggio muta alternando ameni laghetti e paludi in cui le acque stagnanti
ricoperte di muschio sembrano celare misteriose minacce.
Nel tratto più cittadino la Promenade passa per la Passerelle, un parco sospeso in aria, allestito lungo un’antica
linea ferroviaria nello stesso spirito dell’High Line di New York o della Promenade plantée di Parigi. È un luogo molto
amato dai brussellesi, doc e di adozione, che vi si recano a frotte per fare jogging, portare i bambini a prendere aria
o il cane a pascolare, soprattutto nel weekend o a fine giornata.
Nei pressi di Boitsfort si attraversa un quartiere (chiamato le coin du balai, vale a dire “l’angolo della scopa”), simile
a un borgo di campagna con le sue casette bianche e color pastello, costruite tutte tra le fine dell’Ottocento e l’inizio
del Novecento, prima di entrare nella tenuta di Tournay-Solvay con il castello in stile neorinascimentale.
Doppiato il punto più a sud del percorso dopo chilometri di foreste e qualche curiosità, come il macabro “vallone dei bambini annegati”
e il “sentiero dei tumuli funerari” di epoca celtica, la riserva naturale di Kinsendael, il paesaggio cambia bruscamente
e diventa industriale, in una successione di capannoni, hangar, edifici in degrado, fabbriche dismesse fino a ricollegarsi
con il canale che collega Charleroi a Bruxelles. Il percorso riprende a essere interessante ad Anderlecht, soprattutto se
ci si concede una deviazione per visitare la casa di Erasmo da Rotterdam e l’antico béguinage.
Il tratto che da Est risale verso Nord, invece, inizialmente sembra privo di qualsiasi fascino: prende l’avvio tra strade
urbane in preda a un traffico disordinato, brutti condomini grigi, edifici industriali in decadimento e muri sbrindellati
di rioni abbandonati a se stessi, un panorama a dir poco deludente, che può facilmente scoraggiare anche i camminatori o
ciclisti più motivati.
Ma mai fidarsi delle apparenze. Come un miraggio o un’allucinazione alcolica, del tutto inaspettatamente ci si trova
davanti il muraglione che circonda la reggia di Laeken, dove risiedono Philippe e Mathilde, con i suoi splendidi giardini.
E poco dopo, in rapida successione, sbucano tra gli alberi una torre giapponese con il suo giardinetto zen e un padiglione cinese.
Non si tratta di una visione onirica, ma di due sorprendenti edifici che Leopoldo II volle far costruire dopo aver visitato
l’esposizione universale di Parigi nel 1900. Anche Bruxelles doveva avere la sua dote di esotismo e per di più in pianta stabile;
l’incarico fu affidato a un architetto francese, Alexandre Marcel, e i due edifici, ora adibiti a musei, producono un effetto
straniante, soprattutto quando li si vede sbucare all’improvviso nell’oscurità della notte.
Nel corso del cammino si passa continuamente dalle stelle alle stalle e viceversa. Dopo i fasti orientali, si procede tra fango
e sterpaglie, ma non si fa in tempo a farsi catturare dallo sconforto che nella foschia di un precoce tramonto invernale si staglia
inattesa la silhouette dell’Atomium, uno dei simboli della Bruxelles moderna. Qualche chilometro dopo, si manifestano le vestigia
di un passato poco onorevole con un “parco coloniale” (il parco Sobieski, curiosamente denominato così, in omaggio al re di Polonia),
sorto originariamente per coltivare le piante portate dai possedimenti coloniali belgi in Congo.