Il brodetto è un piatto in dialetto. Che lo fa apparire un piatto addirittura esotico.
“Broeto” in veneto, “el brudèt” a Fano, “lu vredòtte” a Giulianova, “lu vrudàtte” a Vasto, “u' bredette” a Termoli,
“brùdet ad pès” in Romagna. “Lu vredétte” a San Benedetto, dove fa anche rima (con “Sammenedette”). Esiste da quando
esistono i pescatori. Come se Dio avesse creato pescatori e pesci e detto loro di navigare nel brodetto!
È il piatto più adriatico che sia mai esistito. Da sambenedettese potrei restringere il campo e definirlo il piatto
più sambenedettese che esista. Al ristorante, un sambenedettese non chiede il brodetto, ma “lu vredétte”. Farei però
un torto al piatto, che rimane patrimonio delle due sponde dell’Adriatico. La sua è la storia delle popolazioni marinare
da Trieste in giù. In “Brodettogonia, viaggio intorno a un piatto”, Renato Novelli, docente di Economia all’Università
Politecnica delle Marche, scrive che in un piatto “si può leggere la storia del mondo e della propria piccola comunità”.
Il brodetto, una metafora dell’identità.
L’Adriatico è, dunque, una sinfonia di brodetti dove le note sono i sapori che sanno sprigionare i vari broeto, brudèt, brudettu,
vredétte e i mille altri modi con cui viene chiamato. Un piatto geniale e invidiato, geniale come uno standard di musica jazz
che ciascun musicista interpreta secondo il proprio stile o l’intuizione del momento. Tanti brodetti, dunque, tutti accomunati
dalla ricca varietà di pesce povero (una volta!), rigorosamente fresco (ricorrere a prodotti congelati è considerato un crimine),
con un sapore di base che li tiene insieme, ma che si distinguono per gli ingredienti e per la cottura.
Proprio per questo il brodetto di San Benedetto è unico. Non sono pochi i piatti che identificano e caratterizzano un territorio.
Per esempio il risotto alla milanese, un’opera d’arte per come l’ha descritto Carlo Emilio Gadda che tra “L’Adalgisa”,
“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” e “La cognizione del dolore” ha trovato il modo di lasciarci un altro testo fondamentale,
una sorta di bibbia da rispettare come i Dieci comandamenti. Non sembra di leggere una ricetta, ma un passo di una sua opera,
come quando descrive la qualità del riso da usare, tipo Vialone e dell’“aurato battesimo dello zafferano”.
Sentite la descrizione del chicco: “… a guardarlo bene, si palesa qua e là coperto dai residui sbrani d’una pellicola, il pericarpo,
come da una lacera veste color noce o color cuoio, ma esilissima: cucinato a regola, dà luogo a risotti eccellenti, nutrienti,
ricchi di quelle vitamine che rendono insigni i frumenti teneri, i semi, e le loro bucce velari”. Un piatto così descritto non può
che essere una delizia.
Sul brodetto alla sambenedettese quando mai troveremo un documento del genere? Potremmo ricorrere all’immagine che del brodetto
dà Predrag Matvejvić, l’autore di “Breviario Mediterraneo”, quando lo definisce “antico come la miseria del Mediterraneo”.
Non esiste una ricetta ufficiale, così codificata in ogni dettaglio come Gadda ha fatto per il risotto alla milanese, che se non
la rispetti sarà un’altra cosa, pur eccellente, ma non si potrà chiamare brodetto. A San Benedetto, città marinara per eccellenza,
probabilmente non c’è famiglia dove a tavola il brodetto non sia di casa. È il piatto che racchiude la storia della sua marineria.
Chissà quante saranno le ricette gelosamente custodite nei cassetti delle cucine! I miei vivevano in campagna (eravamo mezzadri)
e grazie ai prodotti della terra freschi e davvero a km meno di zero sulla nostra tavola sono apparse cose buone, di cui allora
neppure ci si rendeva conto, piatti di cui ancora oggi ci portiamo dietro i sapori.
Mia madre era una contadina-cuoca, ma non ha lasciato nulla di scritto. Parlavano i piatti che preparava, dalle semplici insalate
di campo presenti a pranzo e a cena, ogni giorno dell’anno, ai suoi minestroni di verdure e di legumi, alle sue tagliatelle
con rigaglie di pollo, i suoi arrosti. Ho ritrovato tante testimonianze degli anni della nostra vita di mezzadri, soprattutto foto,
ma neppure un foglio dove abbia lasciato in eredità i suoi consigli scritti a mano sulla preparazione di alcun piatto, né di carne,
né di pesce. Anche se il pesce lo cucinava, ma pochissime volte e mai un brodetto.
Ancora oggi quando mi assale la voglia irresistibile di un coniglio alla cacciatora “come lo faceva mia madre”, sono costretto a
telefonare a mia sorella che è l’unica della famiglia ad aver ereditato la filosofia della cucina di casa. Ricordo che quando
negli anni, ormai diventati ricordi, lo assaggiavano i miei amici Giorgio, Nazzareno, Giovanna e Rossella, assidui frequentatori
del ristorante casalingo di mamma Tomassina, ne rimanevano estasiati. A me non è mai venuto così buono.
Il pesce, il brodetto sono arrivati dopo a casa De Felice. Senza dover ricorrere a ricette della nonna o della mamma. Ma se
ci fosse in giro qualcosa di scritto, sarebbe in dialetto, nella lingua dei pescatori. Erano, come li descrive Novelli,
“poverissimi tra i poveri, ignorantissimi tra gli ignoranti, audacissimi tra gli audaci”, ma allo stesso tempo “cuochi
capaci e raffinati, pur nella scarsità di risorse, perché si erano abituati ad affinare i propri palati alle sfumature
e alla grande varietà dei sapori del mare”.
A San Benedetto quasi ci si azzuffa sulla ricetta del brodetto alla sambenedettese. Hanno provato, tramite un sondaggio online,
a raccogliere testimonianze di marinai e di famiglie di marinai da cui ricavare un plausibile identikit de “Lu vredétte
a la sammenedettèse”. Vi rimando alla foto del documento invitando il lettore a cimentarsi con quanto è riportato.
Mi rendo conto che servirebbe un corso sui fondamentali del dialetto sambenedettese, ma almeno provateci. Vi faccio strada:
“Almene òtte ualetà de pèsce nustrane” si traduce in “almeno otto qualità di pesce nostrano”, “m’barche cj’a-usì”, sta
"in barca si usava”.
Segue l’elenco dei pesci. Attenti a “la vòcche n’cape”, pesce prete, chiamato in un modo strano ma fino ad un certo punto:
se lo osservate bene sembra davvero un pesce che ha la bocca schiacciata sul capo! Ed è un pesce fondamentale per la buona
riuscita del brodetto, come lo è “lu scorfene”, lo scorfano, “la baracculette”, la razza, “i risciùle”, le triglie, “le atte”,
il pesce gatto, le immancabili “secce”, le seppie. “llà ‘ccàse ci jàve pòre”, a casa si aggiungeva pure “lu palombe, lu rospe,
lu ragne, i merleccètte”, ossia, il palombo, il rospo o coda di rospo, il pesce ragno o tracina, un’altra qualità di pesce
che non dovrebbe mancare mai, “i merleccétte”, i merluzzetti.
Una ricetta del brodetto
E come si cucinava questo ben di Dio? Prima di accendere i fornelli va fatto il punto sugli ingredienti. Un brodetto alla sambenedettese,
è scritto nella ricetta, dovrebbe contenere almeno otto qualità di pesce nostrano delle 14 elencate. E se le qualità fossero 5,
il brodetto non si potrebbe più definire “alla sambenedettese”? Per assurdo, i pescatori di fine Ottocento e inizio Novecento
quando dovevano preparare il brodetto sul braciere a bordo delle loro paranze rinunciavano fino a quando il numero dei pesci
non arrivava almeno a otto? Non serve la risposta.
Comunque vi traduco le fasi della preparazione: “In una pentola versare l’olio e la cipolla, far rosolare le seppie e i calamari,
poi versare l’aceto, aggiungere un po' d’acqua e sale, il peperoncino, i peperoni e i pomodori verdi. Dopo un po' si mette il pesce,
prima quello più duro, a seguire quell’altro. Si mette il coperchio e si fa cuocere a fuoco basso per venti minuti. Servire nel piatto
insieme alle fette di pane raffermo, che vanno inzuppate nel brodetto”. D’obbligo buon appetito.
Ho supplicato uno chef-ristoratore, Federico Palestini, perché mi mettesse per iscritto la ricetta del suo brodetto alla sambenedettese,
di cui è diventato un messaggero. L’ha proposto ai visitatori dell’Expo di Milano, recentemente ha fatto parte dei cuochi chiamati
a Torino per i quindici anni di Eataly. Immaginavo che non volesse mettere nero su bianco i segreti del suo piatto. Invece … “Franco,
non ti preoccupare, ti faccio avere subito la ricetta”. E ho immaginato che mi avrebbe mandato la ricetta lasciata da suo padre
pescatore o da sua madre o, addirittura da sua nonna!
Cominciamo con le qualità di pesce per un brodetto per 4 persone della ricetta dei Palestini: 4 mazzoline, 3 seppie, 4 tranci di palombo,
2 ali di razza, 4 tracine, 2 scorfani, due bocche in capo. Sono sette qualità, più di cinque, una meno di otto, come suggeriva la ricetta
in dialetto. Vi garantisco, verrà un brodetto alla sambenedettese che non fa che vincere sfide tra i brodetti dell’Adriatico. Più
che le varietà di pesce contano altri ingredienti che, questi sì, non possono mai mancare. Sono i prodotti che danno il colore
e il carattere al piatto che si distingue da tutti gli altri brodetti dell’Adriatico.
Eccoli: 4 pomodori verdi grandi, un peperone, 2 cipolle bianche, 2 bicchieri di olio evo, 2 bicchieri di aceto bianco, un bicchiere
di vino bianco, sale quanto basta. Sappiate che se dovessero mancare pomodori verdi, peperoni e aceto non sarebbe brodetto alla sambenedettese!
Anche per la fase della preparazione attenetevi alla ricetta di Federico Palestini, che non serve tradurre perché è in italiano.
Ho voluta provarla subito, mi sono procurato i pesci e messo ai fornelli. Sono estremamente soddisfatto del risultato ottenuto.
Nel 2009 Viareggio fu teatro di una singolar tenzone tra il cacciucco alla viareggina e il brodetto alla sambenedettese.
Sfidanti, il re del cacciucco Fabio Canova, detto Bombetta, notissimo cuoco e ristoratore, e un improbabile cuoco di San Benedetto
del Tronto. Dalla foto, non ci vuole molto per capire da che parte sta il cacciucco e da quale il brodetto. L’autorevole giuria
scelse un salomonico pareggio. Sono sicuro che se avessi avuto in mano la ricetta di Federico Palestini il risultato sarebbe stato
diverso! Anche se di quell’esperienza conservo un riconoscimento che mi riempie d’orgoglio (sambenedettese): la targa di Trabaccolaro Doc!
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