La vicinanza tra Napoli e Roma, anche ai tempi in cui
l’alta velocità stava in mente a Dio, è sempre stata un
fatto percepito con orgoglio dai napoletani, al punto
che nei rutilanti anni ’80 si sentiva spesso dire: "Vado a
Roma a prendere un caffè".
Avere la Capitale quasi a portata di mano era un vanto,
e dava il senso della possibilità di fare cose grandiose, che andavano dal
saltuario divertimento al definitivo trasferimento. In
ogni caso, e a parte il caffè, Roma ha sempre esercitato
un fascino particolare al di sotto del Garigliano e un
weekend nella città eterna – per andare a una mostra, a
un teatro o solo per farsi un giro in mezzo ai turisti
che affollano Trinità dei Monti, la Fontana di Trevi o i
Fori Imperiali - ha sempre avuto un grande appeal.
Roma è bella, è tanta, e soprattutto non mette soggezione (come Firenze), non sembra perfetta (come Milano) e neppure finta (come Venezia). Roma si può permettere di presentarsi sporca, strapazzata, trafficata, pericolosa… e però i napoletani la capiscono, la sentono amica, non restano schiacciati dalla sua grandezza ma piuttosto affascinati dall’enormità dei suoi contrasti e della sua bellezza.
E comunque, pur con tutta questa vicinanza e
simpatia, erano parecchi anni che non andavo a Roma come
turista e senza impegni. Ci sono tornata il mese scorso,
proprio mentre scoppiava la guerra, ospite di un’amica
che abita all’EUR, e mi si è aperto un mondo.
Io
dell’EUR non sapevo niente, a stento riuscivo a
collocarlo a sud della grande città e mi ricordavo i
nomi di due fermate della metro, EUR Fermi ed EUR
Marconi, come destinazioni di qualche prova di concorso.
Poi basta.
L’EUR mi ha accolto solenne e arioso, disseminato di
verde e attraversato da strade larghissime:
la prima
sensazione è stata di grande meraviglia per l’abbondanza
di spazio, per la quantità di alberi e anche per questi
condomini giovani, di soli quattro o cinque piani, con
ingressi su cortili curati con aiuole di piante e di
alberi. La vivibilità urbana, insomma.
Di mattina un’aria silenziosa e pulita, poco traffico e anche poco viavai di persone. Quelle poche stavano tutte al Parco Centrale del Lago, ed erano sportivi, sfaccendati, mamme con prole, ciclisti, runners e semplici passeggiatori che godevano di questo enorme spazio di verde attrezzato costruito intorno a un bacino artificiale.
Sono 160mila metri quadri di parco che costringono la via Cristoforo Colombo a biforcarsi per poi riunirsi, ma i residenti lo chiamano affettuosamente il Laghetto,
e usando questo diminutivo mostrano con orgoglio la scenografica cascata, le fontane e la famosa Passeggiata del Giappone, che proprio in questo periodo si colora di rosa con la fioritura dei sakura, i ciliegi da fiore giapponesi.
Le strade hanno soprattutto nomi di paesi e continenti
(Europa, America, Oceania, Nepal, Thailandia) ma anche di
mari (Egeo), di capi di stato (Ataturk) e di concetti
astratti (Umanesimo, Arte, Primati Sportivi), e tutto
quest’evocare l’oltremare mi ha fatto sorridere.
Sono per fortuna lontani i tempi in cui il regime pianificò il
nuovo quartiere come polo di espansione a sud-ovest della
città e l’architetto Marcello Piacentini progettò
quest’area di architettura monumentale con l’obiettivo di
candidare Roma all’Esposizione Universale del 1942 per
celebrare i 20 anni di fascismo.
I lavori, dopo un esproprio di circa 400 ettari, cominciarono nell’aprile del 1937, ma poi arrivò la guerra, il progetto originario non fu mai portato a termine ma ridefinito e completato a partire dai primi anni ’50, e ampliato con edifici moderni, palazzi congressuali e architetture sportive.
Rappresentò il caso esemplare della ricostruzione del dopoguerra, che fu alla base della ripresa economico-sociale italiana, e fu orientato a realizzare un moderno quartiere residenziale ricco di verde, con il risultato che accanto agli edifici per civile abitazione, l’area pentagonale dell’EUR presenta un impianto viario ad assi ortogonali su cui si ergono imponenti e maestosi edifici in marmo bianco e travertino che si ispirano all’architettura classica.
Il più famoso è certamente il cosiddetto Colosseo Quadrato
che inneggia con quella lunghissima dedica che lo sovrasta – Un popolo di poeti di artisti di eroi etc etc - alla Civiltà Italiana cui è intitolato, e che soprattutto con l’illuminazione serale è maledettamente bello.
Come sono belle le prospettive che si aprono dal sagrato della basilica dei Santi Pietro e Paolo, la cui bianchissima cupola
oltre a risplendere perfetta nelle giornate di sole rappresenta un punto di orientamento. Dalla cima della scalinata lo sguardo si spinge fino in fondo a viale Europa, l’arteria dello shopping, e nelle aiuole che la costeggiano trovano rifugio dei pappagallini verdi.
Se Roma è una grande città, l’EUR è un grande quartiere, e si vanta delle sue tre fermate di metropolitana, della vicinanza al mare di Ostia e di accogliere nei suoi edifici firmati le sedi di ministeri, enti pubblici, imprese e aziende.
Si vanta del nuovo, il Centro Congressi progettato da Massimiliano Fuksas e conosciuto come la Nuvola, che a ottobre dello scorso anno ha ospitato il G20, e si vanta dell’antico, quella via Appia
raggiungibile con pochi chilometri d’auto che resta una delle più belle passeggiate nella natura, nella storia e tra le pecore.
Più che verso il centro città, l’EUR spinge a esplorare il territorio circostante, i Castelli Romani, per esempio,
o il vicinissimo complesso dell’Abbazia delle Tre Fontane, un eremo di pace e contemplazione dove mi è sembrato naturale accendere una candela e fare una preghiera per la fine della guerra.
E però francamente non so dire se questo modello di quartiere che affonda le sue radici nell’architettura classica romana
sia il migliore dei mondi possibili, e neppure se mi piacerebbe viverci,
perché lo avverto troppo bastante a se stesso, quasi
autonomo rispetto alla città.
Ci ho trovato perfino
una succursale dell’Antica Pizzeria da Michele. La sede
storica di Napoli è sempre presa d’assalto da
chilometriche file di turisti, e da anni ho rinunciato
ad andarci. Questa dell’EUR invece pare molto più
tranquilla.
Vuoi vedere che finirò per dire: "Vado a
Roma a mangiare una pizza?".
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