4 aprile, 2022

DENTONE

di LUIGI EPOMICENO .
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“Aspettate qui, vado a fare una ricerca sui database governativi,” ci disse il medico che ci ha assistito. “Torno subito.”

Io e mia moglie ci guardammo, confusi. Un database governativo ci suonava come un archivio sinistro della CIA o del FBI.
Era il 1988. Un’estate torrida a Chicago, forse tra le più calde del secolo scorso.

Quella mattina ero impegnato, mia moglie invece gironzolava per il campus dell’Università di Chicago, in attesa che il suo moroso (poi diventato marito) la raggiungesse. Attorno a mezzogiorno, mi incamminavo per raggiungerla nel Quad centrale del campus, quello dove il liberista Von Hayek visualizzò la mano invisibile di Adam Smith (¹).
Lei era seduta su una delle panchine e notai che si teneva stretta il dito indice della mano destra, e mentre mi avvicinavo mi gridò: “Mi ha morso uno scoiattolo!”
Incredulo, guardai attorno per identificare il responsabile, ma ne vidi almeno una decina saltellare in ogni direzione sul prato. Altri erano arrampicati con le quattro zampe spalancate sui tronchi delle immense querce.

Da piccolo sono cresciuto circondato da scoiattoli grigi (Sciurus carolinensis) e Chipmunk (scoiattoli striati della famiglia degli Sciuridi, piccoli animaletti roditori che stanno nel palmo di una mano), ma non sono mai riuscito ad avvicinarmi a più di un metro da loro. Diffidenti e forse spaventati, appena si cerca un contatto sono già lontani.

(Esemplare di Eastern Chipmunk Tamias striatus - foto da nycgovparks.org)


Mia moglie invece ha il dono di parlare con gli animali. Alla sua presenza passerotti, cani e gatti e, a quanto pare, anche gli scoiattoli non scappano, anzi si avvicinano come gli uccelli a San Francesco.
“Come hai fatto?” chiesi, sempre incredulo. “È tutta la mattina che sto dando arachidi agli scoiattoli. Uno è salito sulla panchina. Ho allungato la mano per accarezzarlo, mi ha preso il dito con le manine e ha morso la punta dell’indice.”
Evidentemente l’odore delle noccioline le era rimasto sul dito e il piccoletto deve aver scambiato l’unghia per una nocella.


(Sciurus carolinensis o scoiattolo grigio)


Il dito indice ha parecchi vasi sanguigni, per cui il taglietto ancora perdeva sangue. Sapevo che anche gli scoiattoli possono trasmettere malattie, per cui andammo al vicino Pronto Soccorso, dove un giovane dottore in addestramento nella Medical School ha provveduto alla medicazione.
Volendo sapere la dinamica dell’accaduto, rimase anche lui sorpreso nel sentire cosa avesse procurato il taglio.
"È raro che accada, ma essendo un animale selvatico è bene verificare."

Si alzò e prendendo l’uscita dell’ambulatorio ci avvertiva dove stesse andando.
Al ritorno, ci confortò con un sorriso. "Nel database negli ultimi 4 anni risultano appena 3 casi in tutti gli Stati Uniti di scoiattoli grigi (Sciurus carolinensis) che hanno morso umani e in nessun caso è stata trasmessa la rabbia".
Le nostre facce (bocca e occhi spalancati) esprimevano il detto genovese “me tuccu se ghe sun!” (mi tocco per essere sicuro che sono sveglio). Non capivamo qual era l’incredulità maggiore: l’essere morsi da uno scoiattolo, l’esistenza di un database del genere per quell’epoca fantascientifico, oppure l'essere scampati alle grinfie di una animale rabbioso!
Con un “Thank you so much” uscimmo dall’ambulatorio, e da allora osserviamo ogni scoiattolo a debita distanza.



Senza ombra di dubbio gli scoiattoli destano curiosità e tenerezza. Saranno gli occhi enormi, la coda folta, come mordicchiano le noccioline o come le stipano nella bocca o forse tutte queste caratteristiche messe insieme che suscitano, in chi li osserva, una simpatia che li colloca in alto nelle liste di gradimento di bambini e adulti.
Pochi sanno che anche loro sono meraviglie della Natura. Di 2.500 specie di roditori, 292 sono scoiattoli (Sciuridi) e due di queste sono a rischio critico, 16 minacciate e 15 vulnerabili!

Ma partiamo dall’inizio.
Innanzitutto gli scoiattoli sono roditori, e i roditori comprendono circa il 43% di tutte le specie di mammiferi oggi esistenti sul pianeta Terra. Per darvi un’idea di quanti sono, solo per gioco, se da tutti gli animali a sangue caldo togliete gli uccelli, il 43% di quel che rimane sono roditori.
Credetemi, il numero è grande!



Lo scoiattolo della nostra avventura appartiene a quella categoria (non scientifica) di scoiattolo da campus oscoiattolo da parco. Non perché rappresenti una specie diversa, ma più perché trovandosi in ambienti frequentati da umani è abituato alla presenza dell’uomo e quindi più facile da osservare e studiare rispetto ai cugini in natura.

Dello scoiattolo vi sono alcuni elementi nel corpicino che non passano inosservati, a partire dalla folta coda, uno strumento per lui essenziale per vari scopi, e che lo rende inconfondibile rispetto agli altri roditori.

Abbinata ad altre parti del corpo, alle orecchie, al pelo sul collo, al movimento delle zampe anteriori, o a versi sonori, fa parte di un complesso sistema di comunicazione che adotta per trasmettere aggressività o sottomissione, contentezza o frustrazione.

Con del cibo tra le zampe anteriori e mentre con gli incisivi sgranocchia una ghianda o un biscottino furtivamente sottratto o trovato tra i fili d’erba, noterete un movimento rotatorio limitato della coda che esprime una soddisfazione, mentre se dovesse avere per le zampe, ad esempio, una noce vuota lo scoiattolo esprimerebbe la sua frustrazione con un movimento rotatorio più ampio, segnalando ai compagni qualcosa che non va.

In Natura, questa specie si trova molto in basso nella catena alimentare, possibile preda di tante altre specie: rapaci carnivori, linci, volpi e lupi. Insomma, dall’alto o dal basso, lo scoiattolo è nella mira di qualcuno. A volte anche dell’Uomo.
Il frenetico saltellare che compie e la facilità con cui si arrampica sugli alberi sono gesti usati sia per difendersi dagli attacchi di inseguitori sia per confondere eventuali predatori. La stessa tattica viene usata nel seppellire i suoi ritrovamenti di cibo.
Questa tattica è stata notevolmente studiata, riscontrando che il metodo segue una logica identica a quella che noi seguiamo quando riponiamo negli armadietti in cucina la nostra spesa: detersivi da una parte, biscotti dall’altra, piatti e bicchieri in un altro pensile. Lo scoiattolo nasconde il suo cibo in base a preferenze, qualità e varietà.

La prima minaccia che deve fronteggiare è quella dei suoi consimili. Gran parte delle ghiande che nasconde viene maltolta da altri scoiattoli che l’hanno seguito oppure che hanno odorato il bottino sotterrato. EÈ facile che una volta sotterrato il cibo lo stesso scoiattolo ritorni dopo per riprendersi il tesoro E nasconderlo altrove, lasciando il suo concorrente, letteralmente, a bocca aperta nel tentativo di furto.
La stessa bocca aperta che ha il cane ai piedi dell’albero su cui lo scoiattolo si è frettolosamente arrampicato per sfuggire al suo inseguitore. Il cambio repentino di direzione che compie, mentre scappa, confonde l’inseguitore e se si mappano i suoi passi è evidente che il percorso seguito è sempre diretto verso l’albero più vicino dove trovare rifugio.
Un’altra peculiarità degli scoiattoli è la loro dentatura. Gli incisivi pronunciati usati per rosicchiare il cibo (ghiande, bacche o semi) hanno lo smalto sull’esterno e la dentina verso l’interno, che consente loro di avere i denti sempre ben affilati. Rivolti verso l’interno, questi denti sono del tutto privi di radice, e vengono consumati dall’uso continuo.

Dopo gli incisivi, mancano del tutto i denti canini mentre i premolari e molari possono essere del tutto assenti, oppure ridotti in numero, in quanto non hanno grandi esigenze di triturare il cibo. Oltre al vuoto creato dal diastema (lo spazio esistente tra gli incisivi e i denti posteriori) e aiutati dall’elasticità delle guance, si creano delle tasche che servono all’animale per accumulare maggiori quantità di cibo da portarsi nella tana. Pensate (non mentite!) a quanti confetti o caramelle avremmo potuto nascondere in bocca da piccoli se avessimo avuto le tasche che hanno gli scoiattoli!
Ovviamente stipato un grande numero di ghiande in questa tasca facciale, la strategia di immagazzinaggio è finalizzata ad avere una scorta a cui attingere in altri momenti. Senza registri o software adatti, come fa a ritrovare l’articolo giusto?
Considerate che gli scoiattoli vivono in aree boschive, e sappiamo che nei mesi invernali il terreno è ricoperto di foglie secche, rami e altro cascame tipico della stagione. In molte zone il terreno è anche ricoperto di neve. L’insieme di questi elementi rende molto difficile se non impossibile il ritrovamento del cibo nascosto utilizzando solo l’olfatto. Il ritrovamento avviene con la memoria. Lo scoiattolo infatti è in grado di ricordarsi non solo dove ma anche cosa ha nascosto, ripercorrendo una mappa mentale dei nascondigli a seconda delle esigenze e del tipo di cibo nascosto.

La specie grigia, nativa nel Nord America, fu introdotta in Europa nel periodo vittoriano per popolare le grandi abitazioni nobiliari di campagna. In Italia furono introdotti in Piemonte nel 1948 e successivamente in altre aree. Essendo più grande della specie rossa (Sciurus vulgaris), originaria dell’Europa del nord, non è un caso che abbia dominato su quest’ultima rappresentando una seria minaccia per la sua sopravvivenza.


((Scoiattolo rosso - foto di NoBadFotos))


Ignari a suo tempo degli effetti dell’introduzione di una specie aliena sugli equilibri naturali, oggi sono numerosi i tentativi di ri-popolamento della specie rossa. Tentativi inutili se non vengono considerate le piante preferite dalle due specie: conifere per il rosso, alberi a foglia larga il grigio. Come dire che rilasciare esemplari di scoiattoli rossi in un bosco di querce non darà alcun risultato.
E se non bastasse, lo scoiattolo rosso è minacciato anche da un nemico invisibile: il vaiolo degli scoiattoli (virus del genere Parapoxvirus.)
A quanto pare la specie grigia è un portatore sano del virus che invece conduce lo scoiattolo rosso alla morte nel giro di due settimane. La lotta, come vedete, è duplice e l’esito è alquanto incerto, e a rendere tutto più difficile è anche il disboscamento e l’estensione delle zone abitate che alterano l’habitat naturale per lo scoiattolo, e per tante altre specie.


Lo scoiattolo da campus è un evidente esempio di una fauna che si è adattata agli ambienti urbani. Avvicinarsi a uno scoiattolo negli originari ambienti boschivi è molto difficile. Al contrario vedere uno scoiattolo sulla spalla di un visitatore a riposo su una panchina in un parco cittadino, che sgranocchia l’avanzo di un cono gelato, è uno spettacolo abbastanza comune. Ovviamente là dove gli scoiattoli ci sono.
L’adattamento segue l’istinto primordiale della sopravvivenza. Le migrazioni degli animali, l’Uomo compreso, altro non sono che lo sforzo continuo di assicurarsi condizioni esistenziali migliori. I primi accampamenti umani avvenivano là dove si trovava acqua e cibo per nutrirsi, oppure materiale per crearsi una dimora per sfuggire a predatori vari.
L’avvicinamento degli animali nei centri urbani segue la stessa logica/necessità. Di fatto la città è un giardino zoologico aperto dove sempre più specie trovano riparo e cibo. Alcune scacciano altre, mentre molte specie convivono tra loro e con gli esseri umani. La lista è molto lunga e già attorno a noi si vedono rondini, pappagalli, gabbiani, orsi, lupi, cinghiali e una miriade di insetti.

Tra i roditori che hanno raggiunto lo status di “animale urbano” vi è una specie amata e nel contempo odiata. Amata dai tecnici per le sue caratteristiche biologiche; odiata dai non tecnici per gli effetti nocivi della sua presenza.
Parliamo dei ratti.

Uno dei più comuni è il Rattus norvegicus, proveniente, a differenza di quanto il suo nome possa lasciar immaginare, dall’Asia centro-settentrionale. Partendo da qui, questo ratto ha colonizzato ogni parte del mondo con esclusione solo dei due poli.
Ovunque si trovi, ci resterà ormai per sempre.
L’essere riuscito ad insediarsi in ogni parte del globo è stato possibile solo grazie alla sua grande capacità di adattamento ai diversi ambienti in cui è venuto a trovarsi, risultando così in una specie in grado di “auto-proteggersi” dall’estinzione.
Sul piano biologico il risultato è davvero formidabile!
Vive un po' ovunque. Lungo i corsi d’acqua, in zone umide, nelle fogne o nelle discariche, al chiuso o in aree verdi, al nord o al sud, mangiando di tutto, dai semi ai pesci, dai conigli ai passerotti.
Onnivoro e onnipresente.

A questa sua capacità protettiva di adattamento ad ogni contesto di habitat, la natura ha anche concesso una capacità riproduttiva potenziata, dotando le femmine di almeno 10-12 mammelle per nutrire la numerosa prole. L’urbanizzazione, con la disponibilità abbondante di cibo e di ricovero, ha ulteriormente potenziato questa già potente capacità riproduttiva allungando la “stagione degli amori” in tutto l’anno, consentendo così almeno due-tre e forse più nidiate annuali (possono arrivare anche fino a 5!), moltiplicando di fatto i parti e nascite per ogni femmina.
Essendo il ratto norvegese (il ratto cittadino per eccellenza!) sessualmente maturo già dopo 12 settimane, un parto di 10 esemplari che avviene la decima settimana dell’anno porterebbe la popolazione della colonia a un incremento di 270 unità già per la 30ma settimana e a un incremento totale annuo della colonia di 11.907 unità. (Studio condotto da B. Corrigan).
Capite ora il meccanismo di sovra-popolamento.


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(Ratti di città)


Aggiungendo a queste caratteristiche una capacità cognitiva sviluppata, si spiega ulteriormente anche il perché il sovra-popolamento sia un problema di difficile risoluzione.
Di tutti le specie di animali “urbani”, noi umani detestiamo i ratti in quanto li associamo a sporcizia, malattie e a un generale decadimento.
Purtroppo non ci accorgiamo che la loro sporcizia è in realtà la nostra!
Ovunque vengano effettuate campagne di derattizzazione, dopo una iniziale apparente vittoria il Rattus norvegicus ritorna più numeroso e più forte che mai.
Con le sue capacità cognitive, il ratto è in grado di provare empatia per altri consimili al punto di andare in soccorso ad altri membri della comunità. Questa capacità rende l’uso di esche velenose ad azione veloce inutile. Infatti, l’esemplare che mangia un’esca velenosa, nel sentirsi male eviterà di mangiarla una seconda volta trasmettendo il messaggio agli altri ratti, i quali eviteranno il veleno. Se invece, nel suo peregrinare, il ratto avvelenato non dovesse tornare, gli altri eviteranno di seguire lo stesso percorso, rendendo vano il tentativo di eradicazione.
L’uso di sostanze velenose rimane al momento la tecnica più seguita, ma la tecnica pare che favorisca lo sviluppo di veri “super-ratti.”
Dopo campagne pesanti di derattizzazione, la popolazione urbana di questi roditori può diminuire in modo considerevole ma si sa che è impossibile che tutte le colonie vengano eliminate. I ratti che sopravvivono sono quelli che (biologicamente) sono “i più forti”. Nelle fasi riproduttive successive trasmettono queste caratteristiche, dando origine a ratti più resistenti ai comuni ratticidi, rendendo l’eradicazione ancora più difficile!
La genetica potrebbe venire in soccorso ma gli studi sul tema sono ancora agli inizi. Nel frattempo si stanno sviluppando molte altre tecniche di cattura con e senza l’uso di veleni, ma finché nelle città i ratti troveranno tutto ciò che serve loro per sopravvivere, sarà dura.
E la colpa è sempre dell’Uomo.

(¹) Si racconta che von Hayek, filosofo/economista austriaco Premio Nobel in Economia, da una finestra che affacciava sul Main Quad dell’Università di Chicago definì la libera iniziativa come la scorciatoia che unisce due estremità di una piazza. In questa piazzetta il percorso perimetrale è segnato da un marciapiedi e all’interno della piazza vi è un prato, alberi antichi e cespugli di fiori vari. Seguendo l’istinto naturale di trovare sempre soluzioni risparmiose di tempo ed energia, l’indole umana ci porta a tagliare per la diagonale della piazza piuttosto che percorrere il perimetro. Von Hayek definì il marciapiede come la struttura di norme e regole dello Stato mentre la scorciatoia rappresenta la libertà di iniziativa e intraprendenza individuale, ovvero la mano invisibile che teorizzò Adam Smith nel ‘700.



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